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Luigi Mercantini - Un'ora sulla montagna

Luigi MercantiniIn occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia abbiamo pensato utile ripubblicare una poesia di Luigi Mercantini, scritta sulle alture di Arenzano e ritrovata nel 2003 da un nostro socio tramite una ricerca in collaborazione con il sistema bibliotecario.

Luigi Mercatini, da annoverare tra i più conosciuti rappresentanti della  poesia lirica di ispirazione patriottica, scrisse la poesia che proponiamo subito dopo la famosissima “La spigolatrice di Sapri” (Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!…) durante il soggiorno con la famiglia ad Arenzano.
L’anno successivo, a Genova, conobbe Giuseppe Garibaldi, che gli chiese di comporre un inno patriottico: nacque cosi’ “La canzone italiana”, molto piu’ nota come “Inno di Garibaldi” (Si scopron le tombe, si levano i morti…).


Ecco il testo integrale della poesia:



Un'ora sulla montagna

Per sentieri ombrati e molli,

sotto i rami degli ulivi,

d’Arenzano i verdi colli

ho saliti in sul mattin.

Tra le frane e i selci acuti

or mi affanno in su l’altura:

monta il sole e quest’arsura

fa più aspro il mio cammin.

Stanco piede, affretta il passo,

ché lassù fa ombra un sasso.

 

Più mi levo all’Appennino,

più la valle in giù si chiude:

da Savona a Portofino

largo e tondo gira il mar.

Par di qui tutto un zaffiro

e le spiagge orli d’argento:

fumo a liste, vele al vento:

quanto è bello il nostro mar!

Stanco piede, affretta il passo,

veggo già l’ombra del sasso.

 

E tu là pur sempre altera siedi,

o Genova, nel mezzo:

e sull’arco alla Riviera

il tuo faro veglia ancor.

Così immoto il tuo Colombo

su la poppa stava eretto:

così baldo il giovinetto

di Portoria nel furor.

Stanco piede, or tieni’l passo,

ecco qui l’ombra del sasso.

 

Tutto aperto all’occidente

chi ti pose in queta vetta,

tutto chiuso all’orïente,

ai trïoni e al mezzodì?

Né pastor,né vïandante

mai quassù si aggira o arresta:

di’, talor la irsuta testa

viene il ladro a posar qui?

Ma tu intanto, o corpo lasso,

ti riposa a questo sasso.

 

Tu che ieri per la via

supplichevol mi dicesti:

- Per non gire in Lombardia

disertai dieci anni fa -.

Sciagurato! E tu la notte

Forse dormi ‘n questa cima?

Oh! Mal venga a lui

che prima fece a te la carità.

Non ha pace il corpo lasso,

nemmen dentro a questo sásso.

 

Che silenzio!

Pei burroni manco il murmure d’un rivo!

Quassù taccion tutti i suoni

che la terra manda al ciel.

Sol mi accorgo della vita,

ch’odo il batter del cor mio

e dentr’esso il favellìo

d’ogni imagin più fedel.

Dolcemente il corpo lasso,

or si posa a questo sasso.

 

Ma se un anno, pur un anno

viver solo io qui dovessi,

queste immagini

che stanno così vive dentro al cor;

forse anch’esse a poco a poco

di parlarmi avrìan cessato!

Fin dal core abbandonato

io sarei più io allor?

Oh! allor forse il corpo lasso

sarìa pari a questo sasso!

 

O fratelli! A voi cui sola

è compagna la catena,

cui né sguardo né parola

mai, più mai non consolò,

da quanti anni, e sempre invano,

voi cercate un caro aspetto!

Io discendo, e tosto al petto

il mio sangue abbraccerò!

Se poteste il corpo lasso

posar tutti a questo sasso!

 

Oh! qual canto di lontano

suona dietro a quella balza?

Che dolcezza un canto umano

Dov’è muto ogn’altro suon!

Mal diss’io che qui silenzio

si farìa persin nel core:

montanaro, un novo amore

mi spirò la tua canzon.

Ma tu forse or volgi il passo,

più non t’odo dal mio sasso.

 

Così tacita e deserta

più non parmi or questa cima,

come quando fuor dell’erta

qui fermava il mio cammin,

dove più della marina

non udìa mormorar l’onda,

né più mover ramo o fronda,

morogelso, ulivo o pin.

Vaghe alucce or alto or basso

van ronzando intorno al sasso.

 

Pei sentier, che il dorso ai monti

segnan là sino alla vetta,

il sudor di quante fronti

ogni giorno stillerà!

Affannato il legnaiolo

con la scure in su le spalle

di là torna alla sua valle

quando bruno il ciel si fa:

ed io qui rattenni’l passo,

e cercai l’ombra d’un sasso.

 

Il sollecito villano

che pel fien della giovenca

dalle vigne d’Arenzano

là notturno ancor salì,

con gran fascio in su la schiena

molle, ansante e curvo e scalzo

corre giù di balzo in balzo

pria che tutto muoia il dì.

Per salir quassù già lasso

io riposo a questo sasso.

 

Ma se al piè delle montagne

gli occhi aguzzo ai primi clivi,

veggo ai boschi e alle campagne

uno e un altro casolar.

Colaggiù la villanella forse

or l’erbe taglia al prato,

e l’ignudo pergolato

mesta fermasi a guardar.

S’io laggiù lo sguardo abbasso,

non è più sì ermo il sasso.

 

Là a man manca in quel villaggio,

sul pendio d’una pineta,

scintillar del sole al raggio

veggo i vetri d’un balcon.

Ah! son chiusi! quest’autunno

là il buon vecchio non si affaccia

con le tremole sue braccia

appoggiato ad un baston!

Or che a Lerca il guardo abbasso

c’è una lagrima sul sasso.

 

O Giancarlo! e tu sereno

ier con l’ultimo sorriso

pei cipresi di Staglieno

hai lasciato il tuo giardin.

Quanto amor del bel paese

nell’avel con te portasti!

Sul morir tu ripensasti l’alpe,

il mare e l’Appennin.

Or che a Lerca il guardo abbasso,

c’è una lagrima sul sasso.

 

O ridenti giovinetti,

questo amor del bel paese,

dite, accende i vostri petti

come al vecchio in sul morir?

O vi piaccion piume e olezzi

più che antichi e nuovi carmi,

più che bronzi e tele e marmi,

più che il sol dell’avvenir?

Ciò pensando, il volto abbasso,

e ho vergogna fin d’un sasso.

 

Addio, vette d’Appennino,

giu mi chiaman voci amate:

da Savona a Portofino

io riveggo intorno il mar.

Pare ancor tutto un zaffiro

e le spiagge orli d’argento:

fumo a liste, vele al vento:

quanto è bello il nostro mar!

Riposato è il corpo lasso:

addio, monti; addio, bel sasso!

 

Tratto dai Canti di Luigi Mercantini, Arenzano, 20 settembre 1857


Per inciso, e’ ancora da Arenzano che così scrive, il 2 ottobre 1857, al colonnello Livio Zambeccari con cui aveva combattuto contro gli Austriaci nel 1949, deprecando le discordie tra i partiti:

Che sarà di noi, caro Zambeccari? Siamo una gran canaglia! Ecco il
malanno: eppure, sarebbe sì lieve cosa andar d’accordo, sacrificando tutti una
parte almeno delle nostre ambizioni sull’altare della Patria, e allora quei
maledetti Austriaci se ne andrebbero! Perdio, che cosa dura è questa! Mia moglie è nativa di Milano, ed ha là la sua famiglia che da due anni e mezzo non ha riveduto, specialmente il vecchio padre. Quest’anno aveva tutto disposto per andare in settembre: ottiene il passaporto piemontese, e il Console austriaco le nega il visto, perché è moglie mia. So io bene che il mio nome è segnato a Milano nel libro della Polizia, e ciò mi onora, ma che colpa ha mia moglie verso di loro, che le negano di andare a rivedere il vecchio padre? certo i nostri figli cresceranno con un odio santo nell’anima…

Sono passati oltre 150 anni, non ci sono piu’ gli Austriaci, ma anche oggi sarebbe sì lieve cosa andar d’accordo, sacrificando tutti una parte almeno delle nostre ambizioni sull’altare della Patria!

Arenzano, 28 Gennaio 2011

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